La Zona Morta

una cupa foresta di metallo e silicio si stendeva sulle due rive del fiume violaceo e fosforescente, di blob melmoso e radioattivo prodotto dagli scarichi del sistema produttivo della città. gli alberi, neri e sinistri, sembrava si appoggiassero l'uno all'altro, nella luce azzurrina e elettronica dei led. il silenzio ronzante regnava sul paesaggio senza vita, senza movimento, cosi squallido e gelido da sembrare permeato di qualcosa di più morto della morte stessa. vi regnava un ghigno ben più terribile di qualsiasi beffarda follia, in cui si sentiva aleggiare la truce minaccia dell'ineluttabilità. era la vita non vita di silicio che irrideva alla futilità del'esistenza r-human e ai suoi sforzi di sopravvivenza. era la zona morta del livello 71337 della città.

ma in quella parte abbandonata della gigantesca città, sfidando il gelo, c'era la vita. lungo la riva del fiume melmoso scendevano a fatica due figuri, un r-human e un enorme panda peloso. ad ogni respiro, il vapore che usciva come un getto dalle loro bocche gelava subito e si posava, sotto forma di cristalli di ghiaccio, sulla nera skinsuit del centauro o sulla folta pelliccia del pandoide. l'r-human portava sotto braccio un casco; i capelli neri e lunghi erano arruffati e ghiacciati in più punti;

sul piccolo carretto, trainato dal grosso chimerico, vi era una cassa oblunga, nella quale giaceva un r-human per cui ogni fatica era cessata, un umano reingegnerizzato che il livello 71337 aveva prima soggiogato e poi abbattuto, fino a togliergli per sempre la possibilità di muoversi e di lottare.

ma la zona morta del livello 71337 incrudelisce soprattutto, nel modo più feroce e terribile, contro l'essere umano, per schiacciarlo e soggiogarlo: l'uomo, in cui la vita scorre più irrequieta, l'uomo, ribelle alla legge che stabilisce che ogni movimento deve alla fine cessare.

ciononostante, con coraggio indomito, uno davanti, l'altro dietro al carretto, i due avventurieri che ancora non erano morti proseguivano nella loro fatica. avevano le sopracciglia, le guance pelose e non, le labbra coperte di ghiaccioli, formatisi dal condensarsi del loro respiro, così che non si potevano distinguere bene i loro volti. sembravano maschere spettrali, impresari di pompe funebri, che, in un mondo spettrale, seguissero il funerale di qualche fantasma. ma sotto quell'apparenza erano esploratori, che penetravano in quella regione desolata, beffarda e silenziosa, microbi dallo spirito avventuroso che si slanciavano in un'avventura colossale, e che volevano battersi contro un potere malvagio, in un mondo artificiale e morto, ostile e tragicamente immobile come gli abissi dello spazio.

(in parte rielaborazione di zanna bianca, london)


camminavano senza parlare, per non sprecare fiato, necessario per quello che stavano facendo. ovunque il silenzio era ronzante, ronzante e opprimente, così intenso che avrebbe potuto materializzarsi in qualcosa di tangibile, come un poltergeist furioso, forse, furioso e assetato di vendetta; la città opprimeva le loro menti come l'acqua che grava con tutto il suo volume sul palombaro. li schiacciava col peso della sue architetture vaste e folli; si trasformava in oscurità e lentamente li divorava dall'interno portandoli a sprofondare; li opprimeva fin nei più remoti recessi delle loro menti, spremendone, come si spreme il succo da un grappolo d'uva, tutti i falsi ardori, le esaltazioni e le eccessive presunzioni dell'animo umano. non potevano che non sentirsi piccoli di fronte a quelle vastità, piccoli come atomi, come polvere, vulnerabili come insetti che si muovevano goffamente e scioccomente in mezzo a foreste di megaplast e alle mastodontiche costruzioni della follia costruttiva e incessante dei costruttori;


un'ora trascorse, e poi un'altra ancora quando nell'aria maleodorante e avvelenata dal blob melmoso del fiume si innalzò un grido lontano. sorse improvviso, crebbe sino a raggiungere una nota forzata, alta e palpitante, e poi lentamente morì. avrebbe potuto essere il lamento di un'anima smarrita, se non fosse stato impregnato di una certa ferocia, di un ardore impaziente e affamato. il chimerico che camminava davanti, girò la testa, ad incontrare con lo sguardo gli occhi dell'uomo che seguiva il piccolo carro. al di sopra della cassa oblunga, si scambiarono un cenno d'intesa. un secondo urlo si innalzò, un urlo acuto, che trafisse come una lama il silenzio. i due esploratori ne scoprirono la provenienza. il suono sorgeva dietro di loro, in qualche punto lontano che avevano appena attraversato. si levò un terzo urlo di risposta, sempre alle loro spalle, alla sinistra del secondo.

(in parte rielaborazione di zanna bianca, london)


apparvero all'improvviso, una dozzina di creture volanti; erano entità totalmente aliene, fatte solo in parte di materia; potevano fluttuare nell'aria, sebbene fossero prive di ali; esibivano una mostruosa plasticità e alle volte diventavano invisibili. ad ogni istante il numero di queste piovre volanti diventava sempre più grande. comparvero anche davanti ai due esploratori e al piccolo carro; il cerchio cominciò a stringersi sempre di più. a poco a poco, un centimetro per volta, una piovra avanzava avanti di qua, un altra svolazzava di là. bash afferrò la katana gbe e la estrasse dal fodero, puck iniziò a vorticare il suo fidato jo. le aberrazioni volanti latrarano di rabbia, indietreggiando e ringhiando di spavento di fronte alle armi dei due combattenti;


la notte della città, era eterna, terribile, angosciosa. le piovre volanti, spinte dalla fame, divennero sempre più audaci; i due eploratori erano ormai ore che camminavano. bash ne contò più di una ventina, pronte a dilaniare e divorare. sembravano raccolte intorno ad una tavola imbandita, e attendevano soltanto il permesso di cominciare a mangiare. loro, loro rappresentavano il pasto che quelle creature volanti avrebbero consumato!


bash involontariamente cominciò a considerare con interesse il suo corpo, quel corpo a cui non aveva mai badato gran che. osservò il movimento dei muscoli, ed esaminò con ammirazione l'agile meccanismo delle dita. piegò lentamente, ripetutamente le dita, una alla volta, poi tutte insieme, ora allargandole, ora stringendole rapidamente. studiò la struttura dell'unghia, e si punse i polpastrelli, controllando la reazione dei nervi. questo lo affascinò, e cominciò a provare una gran tenerezza per quel suo corpo che lavorava in modo così stupendo, regolare, delicato. poi gettò uno sguardo alle piovre che lo circondavano, aspettando... e come una folgore lo colpì il pensiero che quel suo corpo, quella sua carne viva, non sarebbe stata altro che un pezzo di carne qualsiasi, un pasto per quelle bestie ingorde; un pezzo di carne che le loro centinaia di bocche fameliche avrebbero dilaniato e lacerato a brani.

bash si riscosse da quello stato di torpore, che era diventato quasi un incubo, e vide davanti a sé una di quell'enormi piovre volanti. fluttuava sulla neve ad un metro e mezzo d'altezza e a pochi metri da lui; lo fissava con sguardi ardenti, dai mille occhi che ricoprivano il suo corpo mutaforma. guardava l'uomo, e per qualche istante anche l'uomo la fissò. la mostruosa bestia aveva l'espressione di una fame terribile. bash era il "cibo", e soltanto nel vederlo, la piovra ne pregustava il sapore; la sua bocca si aprì, e un filo di bava le colò dalla vorace mandibola.

il fiume melmoso e fluorescente, continuava incessante il suo corso, tra vortici e mulinelli, rigonfiamenti rossi e violacei; il terreno freddo e innevato tremava sotto i loro piedi, reagendo all'infrangersi di onde radioattive e maleodoranti;

l'uomo si guardò la mano che stringeva la katana, osservando la meravigliosa struttura delle dita chiuse a pugno; notò come queste avvolgessero perfettamente la superficie dell'elsa, incurvandosi sopra e sotto e intorno a tutte le rugosità. nello stesso istante ebbe per un momento la visione di quelle stesse dita, così sensibili e delicate, spezzate e lacerate dalle candide zanne carnivore di quella aberrante creatura. mai aveva provato tanta tenerezza per il suo corpo, come ora che l'esistenza di quello stesso corpo era diventata così precaria. le altre creature volanti, fluttuando, si chiusero a cerchio intorno ai due avventurieri, pronte a scagliarsi ferocemente per iniziare il lauto e brutale pasto;

(in parte rielaborazione di zanna bianca, london)

puck afferrò una delle lampade ad olio, agganciate al carro, e la scagliò contro una delle piovre. il corpo del mostro prese fuoco, l'esplosione coinvolse le piovre vicino, che scapparono qua e là, gemendo aliene per il dolore; il liquido appiccava il fuoco ai loro tentacoli semi trasparenti e li trasformava in torce. il pandoide abbatté con forza il jo sul corpo mutante di una seconda piovra. un altro colpo raggiungeva la testa; urlò furibondo rabbia, intorno gli altri mostri fluttuavano qua e là avvolti dalle fiamme.

i tentacoli si muovevano sussultando, flettendosi come le zampe di un gigantesco ragno. la spaventosa creatura si avvicinò, spostando il suo enorme peso. era più grande delle altre piovre volanti. gli innumerevoli occhi di rubino fiammeggiavano in quelli di bash. era strano fissare gli occhi viventi di quella creatura! erano feroci e di una profondità senza fine; abissi velati di ombre nei quali lo sguardo affondava vacuamente. sprofondata in quegli abissi cristallini serpeggiava una fredda, inumana malvagità. lo sguardo del gauna aveva imprigionato il suo, e il giovane centauro avvertì un torpore prendere il sopravvento. non poteva muoversi, né pensare...

puck colpì furibondo con il jo altri mostri volanti, urlò di rabbia primitiva e di paura; si girò rapidamente. vide le numerose propaggini tentacolari calare verso il compagno, immobile come ipnotizzato. era troppo lontano per poter intervenire; decise lo stesso di correre, disperatamente, proprio mentre uno dei tentacoli del gauna si avvolgeva intorno al corpo immobile di bash; le orribili spire del tentacolo avevano ormai imprigionato l'amico centauro, quando puck saltò e si lanciò, artigli e zanne, attaccando brutalmente il corpo del mostro;

il pandoide dilaniò ferocemente la carne e il corpo tempestato di bulbi oculari di quella creatura aliena. seguirono urla inumane che gli fecero rizzare i peli bianchi e neri sul corpo. lo strano incantamento che aveva afferrato la mente di bash, però, si ruppe, mentre il tentacolo allentava la presa. intorpidito, il centauro scosse la testa per schiarirsi la mente. si guardò attentamente attorno. gli altri gauna minori erano in parte avvolti dalle fiamme e in parte si stavano avvicinando fluttuando; la piovra voltante che il suo compagno chimerico stava sbranando, poteva essere la loro madre;

non perse tempo, agilmente, piroettando, riuscì a uscire dalle spire allentate dell'enorme tentacolo; riprese il controllo sulla katana gbe e facendo un balzo si portò sotto il corpo del gigantesco gauna; puck era ancora avvinghiato al corpo dell'aberrazione e continuava a dilaniare e sbranare carne putrida e maleodorante;

tutto accadde in un attimo; la katana si infilzò dal basso verso l'alto esplodendo ferocemente energia gravitazionale nel corpo del gauna; la detonazione fù devastante oltremisura, il corpo del mostro esplose in una palla di luce energetica potentissima; anche il chimerico peloso venne sbalzato a metri di distanza; cadde bruciacchiato ma vivo nella neve; il raggio energetico continuò la sua corsa fino a impattare contro il soffitto della gigantesca volta di metallo a decine di metri di distanza, esplodendo in mille detriti e schegge di megaplast; la madre dei gauna era morta; le altre piovre volanti, si dispersero, fuggendo;

(in parte rielaborazione di conan, howard)


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